Appunti critici sulle prospettive ecologiche dell’attuale destra (di governo) – seconda parte

Per quanto riguarda la destra, invece, Giubilei individua due diversi filoni, contraddistinti da due differenti atteggiamenti nei confronti dell’ambiente. Il primo è quello della destra produttivista e liberale, contraddistinta dalla priorità data alla crescita economica (qui il suo merito) a costo di trascurare o sottovalutare il suo impatto sull’ambiente (qui il suo difetto). È significativo en passant osservare l’ampio spazio che Giubilei offre a figure come l’economista Murray Rothbard, esponente di spicco del cosiddetto “anarco-capitalismo” che identifica la soluzione di tutti i problemi, tutela ambientale inclusa, nella privatizzazione. Tanto per dare un’idea, per Rothbard non c’è chi difende i fiumi soltanto perché i fiumi non sono di nessuno. Per tutelarli basterebbe quindi privatizzarli… Una tesi talmente assurda che non ha bisogno di ulteriori commenti.

La parte più significativa di Conservare la natura è però dedicata al secondo filone, ossia a quella destra che nei differenti contesti storici e in modi diversi avrebbe incarnato (qui il suo merito) quella ribellione etica alla modernità, intesa come primato dell’economia, come dominio indistintamente dell’egualitarismo, dell’individualismo, del materialismo, dell’utilitarismo, dello scientismo. Il difetto presente in questo filone secondo Giubilei consiste nell’essere talvolta scivolato verso atteggiamenti anti-economici.

Questa destra rappresenta un contenitore molto ampio, che va dai movimenti völkisch tedeschi di fine Ottocento fino a Fare Verde di Paolo Colli citato anche da Procaccini nel lanciare il Manifesto dell’ecologia conservatrice dal palco della convention di Milano di FdI. L’Evola di Meditazioni delle vette (1971), Pino Rauti della mozione Spazio nuovo del congresso del MSI di Napoli del 1979, la Nouvelle Droite di Alain De Benoist, la rivista “Diorama letterario” di Marco Tarchi, ma anche il movimento Strapaese e la rivista “Il Selvaggio” durante il ventennio fascista hanno in comune per Giubilei il rifiuto del primato dell’economia, condiviso tanto dal capitalismo quanto dal socialismo, la difesa delle identità e delle tradizioni nazionali, il riconoscersi in valori quali il comunitarismo, la sobrietà, la responsabilità e la sacralità.

Secondo la prospettiva tratteggiata in Conservare la natura, nelle civiltà “tradizionali” del passato (tematica dal sapore evoliano) come l’antica Roma l’uomo viveva in armonia con il cosmo. L’affermazione tra il Sette e l’Ottocento delle concezioni illuministe e materialiste avrebbero mandato in crisi queste civiltà tradizionali e posto le basi per una modernità priva di limiti, una modernità sovvertitrice dei valori, delle gerarchie tradizionali e quindi dell’ambiente. Processi come la secolarizzazione e globalizzazione, la Rivoluzione francese e quella industriale, il movimento operaio e quello femminista fino a quello che Giubilei chiama «la deriva dell’ambientalismo» di sinistra sarebbero soltanto le diverse manifestazioni della medesima dinamica, la dinamica di quella modernità livellatrice che mette in dubbio le identità tradizionali, nazionali, sociali, culturali e di genere.

Si giunge così alla proposta conservatrice di Giubilei: la tutela dell’ambiente promossa nel senso di quel filone della destra critico nei confronti della modernità deve saldarsi con l’imperativo della crescita economica posto dalla destra liberale e produttivista, nel quadro del rispetto delle tradizioni e della sovranità nazionale. Una concezione conservatrice della difesa dell’ambiente, in altri termini, deve per Giubilei tenere fermi i valori della nostra civiltà e del nostro passato, che fondano l’amore per la nostra terra e la sacralità dei nostri luoghi. Ciò coinciderebbe con il bello. Lascio la parola allo stesso Giubilei che, in un passaggio particolarmente lirico, afferma:

«l’ambientalismo conservatore è la salvaguardia del bello, rappresentato dalla natura e dall’arte, accomunate dalla bellezza che si esprime in un paesaggio incontaminato, in un fiore, in una foresta, nel rumore di un ruscello, nel silenzio delle montagne, nel volo di una rondine, nel galoppo di un cavallo, ma anche nella capacità di un pittore di immortalare queste immagini, di uno scultore di scolpirle nel marmo e di un poeta di fissarle su carta».

Giubilei precisa ulteriormente le sue posizioni facendo riferimento a Roger Scruton, come abbiamo visto precedentemente citato da Procaccini nel suo testo del 2022 e da Giorgia Meloni nel suo discorso alla Camera del 25 ottobre 2022. Della ricca produzione pubblicistica di Scruton, Giubilei sceglie in particolare due libri. Di Green Philosophy (2012) sottolinea la tesi secondo cui bisogna pensare a soluzioni ambientali su base locale animate dall’oikophilia, ossia dall’amore per la propria “casa”. Da Essere conservatori (2015), invece, riprende l’accusa all’ambientalismo catastrofista della sinistra di alimentare la sfiducia nella politica. Il riscaldamento climatico o lo scioglimento dei ghiacciai sono infatti questioni che per loro natura non possono essere affrontati dagli Stati nazionali autonomamente. Si tratta di uno snodo dirimente: delle due parti del problema (fenomeni climatici globali e incapacità dello Stato nazionale di gestirli) si preferisce semplicisticamente eliminare o comunque di ridimensionare la prima. Secondo la prospettiva dell’ecologia conservatrice, infatti, fenomeni climatici globali come il riscaldamento globale o lo scioglimento dei ghiacciai non sono urgenze reali, ma sono presentati come tali dalla propaganda allarmiste dell’ambientalismo catastrofista della sinistra, che cerca di terrorizzare le popolazioni per imporsi.

Per l’ecologia conservatrice, al contrario, è sufficiente rispondere alle questioni ambientali attraverso misure locali, mosse dal desiderio di preservare la propria “casa”, la quale coincide con il proprio patrimonio, la propria comunità locale e la propria nazione. Da questa prospettiva, insomma, la sovranità nazionale, in quanto espressione di una certa comunità territoriale fondata su determinate tradizioni e un determinato linguaggio, è centrale poiché promuove l’identità nazionale, la difesa dei confini, la ricerca di soluzioni graduali e locali per l’ambiente, il tutto nel quadro di una sorta di responsabilità transgenerazionale in cui i vivi tutelano il patrimonio nazionale (la natura) dei morti per coloro che non sono ancora nati, secondo il motto «fell localy, think nationally». D’altronde, annota Giubilei senza sentire il bisogno di dimostrare un assunto del tutto infondato, la persona nata e cresciuta in un luogo è più portata a volerlo conservare rispetto a uno straniero.

III. Alcune annotazioni conclusive

Giubilei avverte nelle pagine conclusive di Conservare la natura che il conservatore ha il compito di impedire che l’ecologia diventi «il cavallo di Troia per un’ideologia globalista, antinazionale e smaccatamente secolarizzata». Tentando di formulare una visione di insieme, si può dunque affermare che l’ecologia conservatrice così delineata pone al centro lo Stato nazionale, unico baluardo contro i grandi processi della globalizzazione, di cui fa ovviamente parte anche l’immigrazione di massa. Persiste insomma quel legame tra tutela della natura e dell’integrità della comunità intesa in senso nazionale, esclusivista e nativista, che nella destra ha una lunga tradizione alle spalle. Proprio nella ridefinizione del concetto di comunità la destra ha d’altronde costruito nel corso del Novecento la sua risposta all’avvento della società di massa, come sottolinea Mimmo Cangiano nel suo bel libro su Cultura di destra e società di massa (Nottetempo, 2022). La tutela della natura si coniuga in questa prospettiva con la tutela delle identità, delle tradizioni (incluse quelle religiose) minacciate dai processi della modernità e della secolarizzazione. La difesa della sacralità della natura finisce per saldarsi con quella della sacralità della vita: ecco cosa c’entra il rifiuto del diritto all’aborto tirato in ballo da Procaccini nel lancio del suo Manifesto nel 2022.

L’ecologia conservatrice si contraddistingue inoltre per l’idealizzazione del passato, per la nostalgia di un tempo (mai esistito, potremmo osservare) in cui le gerarchie non venivano messe in discussione, in cui le tradizioni religiose e morali venivano rispettate, in cui regnava l’accoglienza della propria comunità familiare e nazionale. Scruton, lo riporta Giubilei in Conservare la natura, esalta la bellezza dei centri storici contrapponendola alla bruttezza delle odierne periferie meticce – un paragone privo di senso ma che dice molto delle idee qui prese in considerazione. Niente immigrati, niente discussioni dei ruoli di genere: l’ecologia conservatrice esalta un mondo ordinato, caratterizzato dalla coincidenza tra ordine naturale, ordine sociale e ordine etico. Certo, tutto ciò ha bisogno di ritenere quella ambientale come una questione gestibile dagli Stati nazionali. Da qui lo spazio (visibile anche nel libro di Giubilei) a tesi che mettono in dubbio i dirompenti effetti dei fenomeni climatici globali. La conditio sine qua non dell’ecologia conservatrice risiede in effetti proprio nella perentoria negazione o minimizzazione di questi ultimi.

Data questa premessa, per l’ecologia conservatrice è possibile fantasticare circa un approccio ecologico su base locale e volontaria, fatta di piccoli gesti in nome di un generico senso civico. Questa prospettiva può accettare per esempio l’agricoltura biologica, il chilometro zero e la mobilità sostenibile, ma in un quadro che ha al centro la sovranità dello Stato nazionale, il rispetto delle identità tradizionali (religiose, di genere…) e che dà la priorità alla crescita economica.

Tra l’atteggiamento nei confronti di natura ed economia delle due destre illustrate precedentemente, Giubilei sceglie una terza via conservatrice, basata sulla crescita economica e sullo sviluppo sostenibile. Oltre a difendere i confini, lo Stato nazionale dovrebbe pertanto intervenire per indirizzare il libero mercato verso scelte ecologicamente sostenibili, mai con tasse ma soltanto attraverso incentivi. La lealtà territoriale, l’amore per quanto ereditato dovrebbe costituire l’antidoto all’avidità e al desiderio privo di limiti e sradicato tipico della modernità che portano alla devastazione ambientale. Ma, attenzione, il problema non è mai il profitto in sé, come rileva Salvatore Cannavò sul numero 17 di “Jacobin”. Il punto, quindi, non è la critica al capitalismo, ma il ripristino del primato della politica (rappresentata dallo Stato nazionale) sull’economia.

L’insistenza di Giubilei sulla necessità della crescita economica induce a osservare come il muro di Berlino sia caduto anche per la destra, e non solo per la sinistra riformista. In Conservare la natura si nota l’enorme difficoltà, anzi l’impossibilità di pensarsi oltre il capitalismo. L’ecologia conservatrice in fin dei conti non sembra altro che una ridefinizione dell’ecologia stessa in senso patrimoniale e identitario, sottomessa alle ragioni di un mercato gestito dallo Stato nazionale. Tutto ciò sfocia in una specie di green washing autoritario, diverso (forse) ma speculare (sicuramente) a quello di matrice liberal al quale assistiamo da qualche tempo. Rimane sullo sfondo il comportamento da tenere nel momento in cui la crescita economica non può essere sostenibile. Quando il turismo di massa danneggia un habitat naturale, per esempio, chi prevale? O meglio, l’ecologista conservatore (o il conservatore ecologista) cosa sceglierà: la tutela della natura o le ragioni dell’economia? L’ecologia conservatrice non si esprime ma possiamo immaginare la risposta.

Un ultimo punto. Non è da trascurare nel discorso dell’ecologia conservatrice il riferimento alla religione e al cattolicesimo in particolare. Conservare la natura sottolinea infatti che la visione ecologista proposta «è conservatrice, cristiana, di destra». Anticipando temi che verranno poi ribaditi anche da Procaccini nella convention milanese di FdI, Giubilei afferma che per il conservatore l’uomo, con i suoi sistemi politici ed economici, non è nemico dell’ambiente. L’uomo, anzi, ha ricevuto il mandato da parte di Dio di conservare il Creato, al quale Dio stesso l’ha posto a capo. Mi sembra si tratti proprio di una concezione decisamente antropocentrica (anche se Giubilei non sarebbe d’accordo poiché, a suo parere, l’antropocentrismo sarebbe un carattere distintivo della modernità) dalla veste ancora più autoritaria e gerarchica in quanto religiosamente legittimato («Dio lo vuole!»), funzionale tra l’altro a gettare un ulteriore ponte tra la destra e le componenti più reazionarie di una parte del cristianesimo, particolarmente suscettibili su questioni di genere e dubbiose rispetto ai cambiamenti climatici.

Un nazionalismo esclusivista e nativista, un’esaltazione di gerarchie (ritenute) tradizionali, un passato trasformato in un feticcio idealizzato, il tutto nel quadro di limitate azioni a tutela dell’ambiente (ma senza pregiudicare la crescita economica e il profitto privato – non sia mai!) ormai largamente fuori tempo massimo: l’ecologia conservatrice enfaticamente annunciata da FdI è in fin dei conti tutta qui.

Varden

(la prima parte è stata pubblicata sul numero 2)

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